Antonella Marino ci racconta il suo primo romanzo "Lucia dalle onde"

23 agosto 2022 - Libri - Commento -

Articolo di Marta Bello, foto di Antonella Marino.

Abbiamo intervistato Antonella Marino, una ragazza siciliana che ci ha raccontato la sua passione per il mare che narra ed esprime nei suoi quadri e nel suo primo romanzo "Lucia dalle onde".

Mi racconteresti un po’ chi sei e cosa fai nella vita?

Ciao, Marta! Sono un’attrice professionista che negli anni si è approcciata a tantissime materie in maniera “trasversale”. 

Ho studiato disegno, recitazione, discipline plastiche, musica, canto… Grazie a un percorso su di me, ultimamente ho ripreso in mano due grandissimi passioni, mai abbandonate ma per troppo tempo “silenziate”: la pittura e la scrittura. Inoltre, sui social cerco di sensibilizzare su alcune tematiche che ho molto a cuore: la psicologia, i disturbi del comportamento alimentare, il femminismo, il veganismo e lo sviluppo personale di per sé. 

Sono convinta che la genuinità, la comunicazione e la connessione possano davvero fare la differenza in questo periodo storico! Tante persone si lamentano dei social, io invece credo che siano una risorsa. Il mio motto è: fai il meglio che puoi con quello che hai. Questi sono gli strumenti della nostra epoca, e sono strumenti potenti: usiamoli con cura. 

Per racchiudere un po’ tutto ciò che sono e che faccio, forse mi definirei un’artista attivista con una grande passione per la comunicazione.


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So che i tuoi soggetti prediletti dei quadri sono le onde e hai appena pubblicato il tuo primo romanzo “Lucia dalle onde”, noto quindi questa ricorrenza del mare, ma in particolare delle onde. Quindi, qual è il tuo legame con il mare? Cosa rappresentano per te le onde?

Il mio cognome è “Marino” e sono nata a Messina. Ho ancora i video di me da bambina che corro sul lungomare, probabilmente il luogo a me più caro! In Sicilia il passatempo preferito della mia famiglia erano queste passeggiate serali accanto al mare. 

D’estate passavo praticamente ogni giorno al mare, in acqua. Correvo sugli scogli fino a farmi venire i calli ai piedi, nuotavo tutto il tempo, mi lasciavo galleggiare, parlavo con il mare e immaginavo potesse rispondermi. Amavo in particolar modo il mare in tempesta: un giorno – avrò avuto 11 anni – mia madre dovette chiamare i bagnini per tirarmi fuori dall’acqua, poiché il mare era agitatissimo e non c’era più nessuno sulla spiaggia, e io mi lanciavo ripetutamente contro questi “cavalloni” altissimi, sentendomi libera e al sicuro. Non volevo tornare a casa. Dovettero venire a prendermi, trascinandomi fuori. A

d oggi sicuramente non lo rifarei, ma il rapporto con il mare è sempre stato qualcosa di viscerale; con le onde, in particolar modo. Dipingerle mi permette di entrare nuovamente in contatto con quella parte emotiva di me. 

Le onde e il mare mi restituiscono un senso di “essenza” e di identità che non riesco a trovare altrove.


Mi racconteresti un po’ in generale di cosa parla il tuo romanzo? Chi è Lucia? E perché il libro è ambientato proprio sul mare?

Lucia è una donna siciliana “scappata” dalla sua terra, costretta a farvi ritorno in un momento molto delicato della sua vita. Anche per lei il mare è una “culla emotiva” che contiene il suo percorso. Una dimensione non giudicante nella quale può immergersi, uscendone sempre uguale a se stessa ma rinnovata. Anzi, è proprio attraverso questo ritrovare la memoria che riesce ad affrontare i cambiamenti più importanti per lei. Il romanzo parla del femminile e del suo tortuoso percorso verso la libertà. Parla del complicato rapporto con le proprie origini e con la famiglia, ma anche del rapporto col proprio corpo, di amore. 

È la forma che ho dato a un mio desiderio: quello di raccontare, attraverso tutti i sensi, la Sicilia. A chi la conosce e a chi non c’è stato. Volevo raccontare la storia di una donna e il suo vissuto emotivo, per cui non potevo che ambientare il tutto sul mare: è la prima cosa che vedo quando chiudo gli occhi, quando inizio a scrivere e quando dipingo.


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C’è qualcosa che vorresti dire a chi ancora non ha letto il tuo libro?

Che mi piacerebbe poter condividere con loro questa parte del mio vissuto e poter avere un loro ritorno. Finora si sono creati punti di connessione incredibili con chi l’ha letto, perfino al di là di quanto potessi immaginare. 

Credo che le donne ci si possano rispecchiare, quantomeno in una fase della loro vita, presente o passata; gli uomini, invece, leggendolo potrebbero approfondire e comprendere maggiormente una fase emotiva che ogni donna si trova ad attraversare almeno una volta nella propria vita. Il libro affronta anche il tema della sessualità e del senso di colpa di cui spesso è impregnata. 

È un viaggio attraverso diversi tipi di onde, che apre spunti di riflessione su tanti argomenti che meritano approfondimento e confronto.


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C’è ancora la credenza che “il mare sia degli uomini” e le donne rimangano a terra. Non so se conosci il libro “Donne di mare” che racconta dell’antica tradizione delle pescatrici siciliane. Tu cosa ne pensi?

Non ho ancora avuto il piacere di leggerlo, ma rimedierò, quindi grazie per il suggerimento! Ho approfondito però la storia delle brigantesse, che necessiterebbe di tante altre sedi di confronto. Non è solo il mare che ancora si crede sia degli uomini, ma tanti – troppi – luoghi, fisici e non. Non esistono luoghi “maschili” e luoghi “femminili”, bensì luoghi a cui per troppo tempo si è negato l’accesso alle donne (e viceversa). 

Penso che le donne stiano rivendicando i propri spazi, il proprio spazio all’interno della comunità. Stanno facendo sempre più “rete”, tessendo una narrazione diversa. Cosa sarebbe accaduto se le donne avessero avuto un ruolo attivo dichiarato, all’interno della società? Se avessero avuto voce in capitolo sulla propria vita, i propri interessi, il proprio corpo? Tutto ciò che sta accadendo oggi tenta di rispondere a questa domanda, e guarda quante resistenze ci sono ancora! 

Uno dei miei libri preferiti è “Oceano mare” di Baricco e i tuoi quadri mi hanno fatto venire in mente il personaggio di Malaussène che dipinge il mare con l’acqua del mare, e per questo la sua tela rimane sempre bianca. Tu invece lavori molto con i toni del blu che contrastano con il bianco della schiuma. Ti va di raccontarmi un po’ dei tuoi quadri? Che valore hanno per te?

I miei quadri hanno un valore immenso, forse inquantificabile, e ammetto che dar loro anche un valore economico è stato per me un enorme banco di prova. Lo è ancora. Sono come figli, perché vengono generati da un istinto creativo, passano un tempo di gestazione, in cui ancora non sono “formati”. Mi permettono di allenare la fiducia nel processo: continuo a dipingere anche quando non ho perfettamente chiaro dove andrò a parare. Ma ormai so che, a immagine finita, la tela mi restituirà qualcosa di me, che sta avvenendo “all’interno”. 

Mi hanno permesso di superare periodi complicati, soprattutto negli ultimi mesi. Per questo è difficile staccarmene: perché una parte di me è impastata nei colori. Ma permettere loro di viaggiare e finire nelle mani di persone sensibili e vicine al mio sentire, mi aiuta a dare ancor di più un senso al tutto. È come se imprimessi una parte di me, bellezza e dolore, per poi renderla al mondo.


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Sei quindi un’artista che si esprime in tanti modi diversi. In che modo l’arte ha cambiato la tua vita?

L’arte è stata ed è per me un’“entità”, alla quale mi sono affidata in tantissimi momenti, come se fosse una “grande madre”. Sapevo che, in qualche modo, mi avrebbe aiutato a sopravvivere alle difficoltà della vita col cuore intatto e “spalancato”. 

Mi ha salvato dalla chiusura, dalla rassegnazione, mi ha permesso di piegarmi senza spezzarmi, trovando sempre qualcosa di bello al di là di ciò che mi paralizzava. È come una mappa che mi permette di orientarmi anche tra acque buie e agitate. È ciò che mi dà consistenza e che mi permette di entrare in contatto con l’altro da me. 

Ognuno di noi ha un particolare modo di muoversi nel mondo, orientandosi in questi pochi anni (perché, se ci pensi, il tempo che abbiamo a disposizione è prezioso e limitato) con il proprio linguaggio. L’arte è il mio. 


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Sappiamo ad oggi che il mare è in uno stato di emergenza climatica. So che anche tu hai adottato la scelta vegana, perché è importante farlo per disincentivare la pesca (come gli allevamenti intensivi di pesci e di animali terrestri) e cercare di fare la nostra piccola parte? Raccontami un po’ cosa ne pensi

Sarò sincera con te: sono cresciuta con l’odore del pesce appena pescato nelle narici, con il luccicare delle squame di questi esseri, alla luce del sole. Inizialmente, nei primi periodi da vegana, andare in luoghi di mare era molto complicato: mi veniva sempre voglia di mangiare del pesce. Possibilmente crudo. Credo sia legato a delle memorie, alla voglia di rivivere dei momenti, delle sensazioni. Ricordo ancora le passeggiate con i miei genitori al mercato del pesce, i polpi ancora vivi che cercavano di scappare… e le mani umane che li rimettevano “al loro posto”.

Ciò che sembra folkloristico, a volte -spesso- nasconde crudeltà. E questo è particolarmente vero per quanto riguarda gli animali e il loro sfruttamento. Ma è un collegamento che, per quanto sia lampante, si riesce a fare solamente con un grande sforzo di volontà. Anche qui, come per il femminismo, si tratta di creare una nuova narrazione, che vada a mettere in luce le falle della vecchia. 

La verità è che i polpi stanno bene in acqua, che non abbiamo alcun diritto di far soffocare esseri che non possono urlare il proprio dolore, ma che soffrono tanto quanto noi. 

Non ci serve tutto questo. 

Possiamo vivere in empatia con il nostro pianeta, ammirare i pesci nuotare liberi, lasciare la loro uccisione a predatori che non hanno altra scelta (a differenza nostra), e che, sicuramente, non sono impattanti come i nostri allevamenti intensivi, di terra e di mare. Ma vi immaginate una vita passata in uno spazio vitale ridotto al minimo, vi immaginate nascere con un destino già segnato? Gli animali sono qui CON noi, non PER noi. 

I mari sono devastati dalla pesca a strascico, che serve per soddisfare la richiesta dell’intera popolazione, ma che uccide indistintamente diversi esseri marini, non solo quelli che finiscono nel nostro piatto. C’è tanto, tantissimo che possiamo fare. Non ci serve mangiare gli animali per avere i sapori che tanto amiamo, e questo chi è vegano lo sa bene. 

Vorrei solamente invitare chi non lo è a informarsi, a seguire persone accoglienti e disposte a chiarire gli eventuali dubbi sull’argomento, ma anche a documentarsi sulla realtà che c’è dietro a ciò che ci ritroviamo nel piatto. Il consumo di animali e il loro sfruttamento, che ci piaccia o no, che si provi o meno empatia nei loro confronti, sta mettendo in ginocchio il nostro pianeta.

Credo che questo periodo di passaggio ci stia mettendo molto alla prova come esseri umani, ma la bella notizia è che da carnefici possiamo trasformarci in protettori e custodi. Credo molto nell’essere umano. A differenza di altri, non desidero che si estingua, anzi!


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