Aumentano gli spiaggiamenti delle tartarughe marine nell'Adriatico

13 giugno 2022 - Ambiente - Commento -

Articolo di Marta Bello, foto di Fondazione Cetacea

Abbiamo intervistato "Fondazione Cetacea" che si occupa di salvare, recuperare e riabilitare le tartarughe marine nell'alto Adriatico.

Mi parli un po’ di Fondazione Cetacea e di cosa si occupa? 

Fondazione Cetacea ha una storia lunga ed intricata: esistiamo dal 1988 e nel corso del tempo siamo cambiati molto.

Siamo nati all’interno di una struttura che si occupava di cattività: ti sto parlando del delfinario di Riccione, all’inizio la fondazione si occupava solo del recupero di delfini. Era un altro periodo storico, c’erano persone diverse e sicuramente sono stati anni utili per raccogliere informazioni e conoscenze.

I periodi storici però cambiano e sono cambiate anche le persone all’interno della fondazione, per cui grazie all’esperienze e ad una presa di coscienza, ci siamo completamente allontanati dalla cattività. 

Siamo un’associazione contraria alla cattività per scopi commerciali. L’unico momento di semi-cattività è quando salviamo l’animale e lo curiamo, c’è una sorta dir riabilitazione, dopodiché il nostro principale obiettivo è il rilascio dell’animale in natura

All’inizio venivano salvati perlopiù delfini,  ma negli anni abbiamo iniziato ad occuparci sempre di più di tartarughe marine, perché questa era, ed è, la necessità.

Infatti, gli spiaggiamenti di tartarughe marine sono aumentati nell’alto Adriatico, un po’ perché abbiamo iniziato forse a fare più attenzione ai numeri, ma sicuramente la principale causa sono i cambiamenti climatici. Negli anni siamo diventati un centro di recupero di tartarughe marine a tutti gli effetti. Siamo “CRASM”: centro di recupero animali selvatici marini, ma interveniamo anche in caso di spiaggiamenti di cetacei.


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Le nostre zone di competenza sono le regioni dell’Emilia Romagna e delle Marche (tranne nella zona di Ravenna).

Abbiamo un numero molto alto di ricoveri perché l’alto Adriatico è largamente popolato da tartarughe marine: parliamo di 45-50.000 esemplari secondo il censimento di qualche anno fa. Facciamo numeri importanti, arriviamo a curare 50-60 tartarughe l’anno e circa il 75% degli animali si rimettono in sesto e tornano in natura. 

Il Mar Adriatico è un mare molto poco profondo, ma ricchissimo di nutrimento e per questo ci sono moltissime tartarughe. 

La zona di foraggiamento è molto importante, ci sono molti nutrienti e molto cibo. Sicuramente la nostra costa ha il problema della forte antropizzazione, per cui se le tartarughe scegliessero queste aree per la nidificazione sarebbe un lavoro impegnativo, soprattutto per la mediazione con i responsabili delle strutture balneari.

Questo è un mare che sta subendo i danni dei cambiamenti climatici, ci sono molte specie aliene che stanno colonizzando l’alto adriatico e la zona del delta del Po. Purtroppo è un mare che, a causa della pesca intensiva ha un fondale molto povero, che un tempo era molto ricco, ma è stato tutto arato via. La specie di tartaruga più presente qui è la Caretta-Caretta, ma ci è capitato di intervenire anche sulle tartarughe verdi, una volta abbiamo soccorso anche per una Tartarughe liuto; questa è stata una delle cose più emozionanti per me. Era rimasta impigliata in una rete e il rilascio è stato molto difficile per la grandezza dell’esemplare: pesava circa 400kg.

Ovviamente il mare è popolato e ci sono delfini, tursiopi, stenelle, saltuariamente altri cetacei come le balenottere e nel basso Adriatico ci sono stati anche casi di capodogli spiaggiati. Ci è capitato di fare un intervento nel porto di Ancona su un delfino comune, che è praticamente scomparso dai mari perché, negli anni ’60 dopo la guerra, era stata messa una vera e propria taglia sulla sua testa a causa dell’interazione con la pesca professionale.

Lavoriamo molto con i progetti europei per fortuna, l’ultimo progetto è stato sull’inquinamento acustico sottomarino, che è un altro problema abbastanza grave per i pesci, le tartarughe e i cetacei. Lavoriamo molto sull’educazione ambientale, in sinergia con enti di ricerca e università.


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Quali sono le cause principali che portano le tartarughe nei vostri centri di recupero? 

Le cause principali per cui le tartarughe arrivano al nostro centro sono varie, sicuramente la prima causa è l’interazione con la pesca professionale. A tal proposito devo dire che negli ultimi anni la situazione sta migliorando perché un po’ di risposta da parte di alcuni pescatori c’è e noi andiamo a sensibilizzarli continuamente. 

È vero che sono il primo problema, ma sono anche quelli che sono in prima linea nel mare, quindi è importante che collaborino e che collaboriamo perché se il pescatore che pesca a strascico trova una tartaruga nella rete e non sa valutarne lo stato di salute e la ributta in mare, quello è un esemplare che ha il 90% di possibilità di affogare. Stiamo provando a convincere i pescatori ad usare strumentazione che eviti la cattura accidentale di tartarughe e delfini. 

Ci capita anche di recuperare esemplari spiaggiati e questo è dovuto ai cambiamenti climatici, perché negli ultimi anni il clima è molto ballerino con inverni molto caldi e forti ed improvvisi abbassamenti di temperatura, per cui le tartarughe vanno in ipotermia e rischiano di morire di freddo; comunque diciamo che tutti i guai sono di causa umana. 

Attualmente è in corso un festival organizzato da noi e proprio oggi abbiamo parlato di nidi di tartarughe; qua nell'alto Adriatico ci è capitato di trovarne uno a Pesaro due anni fa e uno a Jesolo l'estate scorsa, quindi ancora più a nord. In queste aree non sono ancora arrivate in maniera massiva. In altre parti d’Italia, invece, negli ultimi dieci anni c’è stato uno spostamento massivo.

Questo perché anche le tartarughe stanno cambiando aree in cui vanno a nidificare, il problema è quando incontrano zone fortemente antropizzate. L’associazione a Calimera arriva a trovarsi anche 20 nidificazioni assieme, così come in Toscana. 

Questo è legato sicuramente ai cambiamenti climatici: i mari sono molto più caldi e loro salgono sempre più a nord.

Sono animali che hanno bisogno molto tempo per adattarsi e sono anche animali che si sono evoluti poco, cioè sono molto simili a com’erano centinaia di migliaia di anni fa ed erano perfette com’erano fino a quando noi non siamo arrivati a complicar loro le cose.


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Quali sono le tecniche di pesca usate nelle vostre zone di mare e perché sono così dannose per le tartarughe e gli altri animali marini? 

In alto Adriatico è prevalente soprattutto la pesca a strascico, infatti praticamente non c’è più un fondale. Per le tartarughe, però, il metodo di pesca più dannoso è sicuramente quello con le reti da posta, molto impiegate in queste aree ed estremamente dannose per gli animali marini perché sono lunghe molti chilometri e vengono lasciate in mare per moltissime ore, per cui una tartaruga che si incastra non ha alcuna possibilità di sopravvivere. 

La rete a strascico, invece, distrugge i fondali, ma la calata dura minuti o ore, per cui la tartaruga ha possibilità di salvarsi perché viene tirata su con il pescato. Stiamo provando ad usare un nuovo dispositivo che si chiama “Tartle excluder device” che si applica allo strascico e permette la fuoriuscita della tartaruga o del delfino che rimane impigliato.

Certamente il problema è la pesca, questo è un momento difficile sia per il mare sia per i pescatori. A causa dell’aumento del gasolio i pescatori non stanno più uscendo e quindi notiamo che il problema è anche economico. Lavorando con loro ti rendi conto che alcuni, e magari sono proprio loro che si avvicinano a noi, hanno una sorta di sensibilità. Ovviamente però è un sistema viziato: il Mar Adriatico è stato distrutto dalle reti a strascico e non esiste più fondale. Cerchiamo di ridurre al minimo l’impatto. 

Adesso stiamo sperimentato una rete a strascico che pesca solo rifiuti e non pesce. 

Sarebbe bello convertire dei pescherecci a fare questo, sarebbe stato facile se fosse stata finanziata la legge Salvamare, che invece non è stata finanziata. La Legge Salvamare, approvata in via definitiva, non ha un supporto economico, quindi rimane il problema di chi paga lo smaltimento dei rifiuti pescati in mare. Probabilmente i costi andranno a riversarsi sui comuni costieri. Se invece ci fossero dei finanziamenti, sarebbe possibile magari convertire anche interi pescherecci a pescare solo rifiuti e non pesci. Come dicevo prima, è anche una questione economica. È necessario fornire un’alternativa a questi pescatori. Può essere un sogno, ma crediamo in questa conversione del settore.


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Mi parleresti più nello specifico delle tartarughe? Come avviene il loro salvataggio? 

Abbiamo un centro di primo soccorso a Goro, nel ferrarese e il centro di recupero a Riccione. Di solito funziona che o veniamo contattati direttamente dai pescatori che le pescano e si rendono conto che le tartarughe che hanno pescato non sono nelle condizioni adatte per essere rimesse in mare, ma può darsi anche che ci chiamino privati oppure la capitaneria di porto quando avvengono degli spiaggiamenti; è anche capitato che venissero recuperate delle tartarughe alla deriva. 

In base alla motivazione per cui la tartaruga deve essere aiutata, sappiamo già quali procedure seguire: chi trova una tartaruga marina in spiaggia in inverno dovrebbe tirarla fuori dall’acqua, coprirla e chiamare i soccorsi perché il rischio ipotermia è altissimo.

Se invece una tartaruga viene presa in una rete a strascico, il principale rischio è che abbia ingoiato acqua, in quel caso va messa inclinata, in modo che espella l’acqua naturalmente e, se è estate, va tenuta umida con un asciugamano bagnato, se invece è inverno va tenuta con un asciugamano asciutto al caldo. A quel punto interveniamo noi, le portiamo al centro di recupero dove vengono subito visitate dai nostri veterinari e, una cosa che abbiamo imparato negli anni, gli facciamo subito una radiografia, perché spesso può capitare che abbiano ingoiato degli ami, ma non ci siano dei segni di questo.

Quindi, come prima cosa gli vengono fatte le analisi del sangue e una lastra, dopodiché in base alle problematiche che emergono viene fatta una terapia. In quel caso, poi il tempo di degenza è variabile. Ci è capitato di tartarughe che sono rimaste con noi anche anni, come nel caso di tartarughe con gravi problemi neurologici (perché magari avevano sbattutto contro eliche o imbarcazioni), oppure l’anno scorso ci è capitato di rilasciare dopo 3 anni una tartaruga che era completamente cieca. Su di lei è stato fatto un progetto ad hoc: è stata messa in quest’area recintata in mare per valutare il comportamento in semi libertà e quando abbiamo notato che cacciava molto sul fondo, mangiava soprattutto cozze, insomma, nel giro delle settimane aveva guadagnato peso, era pronta per ritornare in mare.

Il nostro obiettivo ultimo è rilasciarle in mare.

In passato abbiamo sbagliato, ad oggi non daremmo mai più una tartaruga ad un acquario. Per fortuna il fatto che passino molto tempo con gli umani non impatta il loro rientro in natura. Le tartarughe non hanno alcun tipo di imprinting e non si abituano alla nostra presenza, al massimo ci vedono come una presenza parassitaria.

 Sono animali meravigliosi e con una storia antichissima, meritano un'attenta salvaguardia.


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