"blue economy" come nuova frontiera per uno sviluppo sociale rispettoso e sostenibile

17 gennaio 2022 - News - Commento -

di  Nicola Tavoletta

Ho accolto con piacere l’invito del mio amico Roberto Pagano a riprendere su Mondo Sommerso i temi della economia del mare che ho messo in rilievo domenica scorsa sulla prima pagina dell’inserto domenicale del quotidiano Avvenire, su “Lazio Sette”.

Ai lettori di Mondo Sommerso rivelo di essere onorato di poterlo fare, considerando l’importanza storica del vostro giornale, riferimento assoluto per gli appassionati del mare.

Nel mio articolo, che estenderò in questa sede con un maggior numero di dati, sono partito da un elemento storico, cioè che l’uomo ha iniziato a viaggiare e a trasportare prima con una imbarcazione e poi con un mezzo con le ruote.

Le tracce in Mesopotamia testimoniano ciò.

Quando affrontiamo, oggi, la programmazione per cercare prospettive sociali ed economiche siamo generalmente concentrati sugli impegni e i progetti da realizzare sulla terra ferma, quando essa è solo un terzo dei mari e degli oceani.

Vi è un’altra considerazione, che potremo affrontare in un altro articolo, cioè che la dimensione dei nostri progetti è quasi sempre legata al parametro dello spazio e non a quello del tempo.

Prima di immergerci, mai verbo è più adeguato alla sede, tra i dati e le prospettive dell’economia del mare dobbiamo ricordare un elemento fondamentale, cioè che gli oceani sono i veri soggetti della termoregolazione del pianeta, quindi da preservare preziosamente.

Il tema della sostenibilità energetica è centrale, perché per essa stessa il mare è fonte vitale.

La sostenibilità energetica poi si collega come elemento funzionale fondamentale alle due transizioni in atto volute dalle strategie politiche: quella ambientale e quella digitale.

La precondizione dello sviluppo della Blue Economy è la capacità di investire per tutelare i mari, gli oceani e le acque interne; enunciato “scolpito” in tutti i bandi di finanziamento e in tutte le strategie dell’Unione Europea.

Secondo l’ultimo «Blue Economy Report 2020», l’economia blu dell’UE, con 5 milioni di occupati, un fatturato di 750 miliardi di euro nel 2018, e un incremento dell’11,6% rispetto all’anno precedente, rappresenta un potenziale enorme e in continua crescita. Per questo l’UE raccomanda agli Stati membri di includere nei Piani di ripresa del Recovery Fund, misure di protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi marini. In Italia 4 imprese della Blue Economy su 10 si occupano di servizi di alloggio e ristorazione, il 16,8% opera nella filiera ittica, il 15,2% nel settore delle attività sportive e ricreative, il 13,6% nella cantieristica, il 5,9% nella movimentazione merci e passeggeri via mare, il 3,8% nelle attività di ricerca e tutela ambiente (3,8%), lo 0,2% nell’industria delle estrazioni marine.

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L’economia blu genera un valore aggiunto di 46,7 miliardi di euro, il 3,0% del totale economia (nel 2014 era il 2,9%), ma considerando gli effetti diretti e indiretti – per ogni euro prodotto direttamente si ha un effetto moltiplicatore di filiera pari a 1,9- si arriva ad un valore aggiunto prodotto complessivo di 134,5 miliardi di euro: l’8,5% del totale dell’economia. La movimentazione di merci e passeggeri via mare è il comparto a maggiore capacità moltiplicativa, dove ogni euro prodotto ne attiva 2,8 sul resto dell’economia. Altri settori dalla elevata capacità moltiplicativa sono quelli della cantieristica (moltiplicatore 2,4) e delle attività sportive e ricreative (moltiplicatore 2,1).

In Italia, trainata dal turismo costiero, dà già lavoro a oltre 390.000 persone e genera circa 19,7 miliardi di euro di valore aggiunto al PIL nazionale.

I settori coinvolti nella blue economy, individuati dalla UE, riguardano la preservazione delle risorse marine viventi e non viventi, l’energia rinnovabile ricavata dal mare, le attività portuali. Ma anche tutto il comparto navale, dalla costruzione ai trasporto marittimo. Fino al turismo costiero, alla pesca e all’acquacoltura.

Oggi, ad esempio, è importantissima la bioeconomia, legata soprattutto alle produzioni biologiche ittiche e algali, le biotecnologie. Solo il settore biologico ha ottenuto profitti lordi per 7,3 miliardi nel 2018, un aumento del 43% in più rispetto al 2009, con un fatturato che ha raggiunto i 117,4 miliardi di euro, il 26% in più rispetto al 2009.

Questo settore garantisce la sostenibilità e soprattutto la capacità di diffusione alimentare della filiera ittica, non limitando ai ricchi il pesce nella alimentazione.

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Se riprendiamo il tema della sostenibilità energetica garantita dal mare allora le competenze sul risparmio energetico e sostenibilità ambientale sono skill centrali per trovare lavoro nella Blue economy: l’81,4% delle ricerche di lavoro richiede competenze green.

A fine 2020, con 37.444 imprese, il Lazio si afferma come regione italiana con il più alto numero di aziende del comparto dell'economia del mare e registra, rispetto al 2019, una crescita dell'1,1%. Di queste il 15,9% del totale appartengono alla filiera ittica, lo 0,2% all'industria delle estrazioni, il 13,1% alla cantieristica, il 5,6% alla movimentazione di merci e passeggeri, il 46% ai servizi di alloggio e ristorazione, il 4,1% alle attività di ricerca e tutela ambientale, il 15% alle attività sportive e ricreative.

Il Lazio inoltre è al terzo posto in Italia, con il 5,7%, come peso dell'economia del mare sul tessuto imprenditoriale regionale. Davanti ha la Liguria e la Sardegna. In termini assoluti, Roma è la provincia con il più elevato numero di imprese nel settore blu economy, con quasi 33.000 unità.

L'import-export marittimo regionale nel 2020 è 10,1 ml di euro.

Questi ultimi sono i dati del V Rapporto sulla Economia del Mare delle Camere di Commercio.

La mia riflessione sui dati vuole essere focalizzata su un tema politico, strategico nelle prospettive future e internazionali, cioè la capacità delle nostre rappresentanze di proporre come chiave di lettura la nostra vocazione mediterranea.

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Il Mediterraneo è sempre stato un mare identificativo per il patrimonio tradizionale e per la emersione di correnti politiche alternative all’atlantismo anglosassone, ora che quest’ultima dimensione è in profonda crisi, basti vedere la Brexit e i tormenti statunitensi, sarebbe utile far emergere la vera anima sociale mediterranea.

Quella di una sfera geografica unitaria capace nei secoli di integrare e includere le diversità, esaltando le qualità delle differenze, componendo così una sfera culturale unitaria.

Tale interpretazione naturalmente più ostica nelle dimensioni oceaniche nella storia, ora, invece, può essere benissimo traslata perché, grazie alle tecnologie, anche queste ultime sponde si sono avvicinate, se non nello spazio, ma nel parametro tempo, quindi adatte ad accogliere lo stile mediterraneo delle differenze come parti di una unità.

Mi sono spinto su rotte più riflessive per cercare di orientare il nostro lavoro di associazioni rappresentative in un confronto continentale unitario che può solo migliorare il benessere sociale e quello naturale.

Per i lettori di Mondo Sommerso non sono tanto importanti i numeri dei nostri mari, quanto la capacità di coinvolgere le persone in una interpretazione benefica della vita sociale che sicuramente le caratteristiche della sfera marina sa offrire, perché decisamente animata dalla continua ricerca dell’incontro.


Nicola Tavoletta

Consigliere Nazionale delle ACLI

Presidente regionale ACLI TERRA Lazio

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