di Valentina Cornacchione
Diario di bordo, 26 luglio - 1 agosto
Sono sabbie che conoscono i miei passi quelle del medio-alto Adriatico, sottili e chiare, bagnate da una lingua di mare che prende il nome dalla concezione etrusca che considerava questo “il mare che finisce ad Adria”.
Il primo giorno sapevo che avrebbe piovuto, che ci
avrebbe accolti un cielo grigio e l’aria fresca. La mattina si
scaricano i bagagli e si attende in terrazzo che smetta di piovere.
Se non altro ho avuto il tempo di ambientarmi e ritrovarmi nei
luoghi che mi hanno vista crescere per 8 anni.


Smette di piovere e non aspetto altro, scendo le scale dell’hotel, attraverso la strada, scendo altre scalette e sono in spiaggia in meno di due minuti. La sabbia è umida, fredda, le nuvole si allontanano verso est. I proprietari dello stabilimento erano preoccupati. “Se inizia a tirare Garbino spazza via tutto”.
Garbino è il vento
di libeccio per gli abitanti della costa adriatica.
Ne so
qualcosa.
Per fortuna il vento
proviene da ovest, nel giro di 24 ore sarebbe cambiato e sarebbe
tornato il grecale, sintomo di stabilità soprattutto nelle ore
pomeridiane.
Oggi niente bagno e
niente immersione. L’acqua è torbida e decisamente più fredda di
come me la ricordavo, la corrente iniziava a portare a riva il
“bollettino di guerra” di un mare molto mosso al largo.

Giorno 2
Finalmente il sole. Il vento è ancora molto forte ma per fortuna arriva da est, sicuramente arriveranno stabilità e giorni caldi e soleggiati. Ne approfitto per scendere in spiaggia e godermi una classica mattinata marittima in mezzo alla settimana. Poche persone, per di più famiglie che come me hanno deciso di passare una settimana lontano dalla città e dall’alienante routine che spesso, negli ultimi quasi due anni, siamo abituati a vivere.
Il mare ha il colore
del cielo, un manto decisamente più limpido e invitante rispetto a
quello di ieri.

Oggi sicuramente si va in immersione ad esplorare gli scogli poco distanti dalla costa. Dopo una sostanziosa colazione corro in spiaggia. I piedi affondano tra i granelli, la salsedine accompagnata dal vento mi travolge i sensi e finalmente inizio a sentirmi bene.
Nella mia borsa da spiaggia c’è un mix di
ozio e avventura, rispecchiando perfettamente la dualità in cui mi
sento divisa dal giorno 0; i libri che mi sono portata da leggere
sono sommersi dall’attrezzatura da immersione e ripresa: maschera,
snorkel, action-cam, torcia.

Così, non appena l’acqua mi arriva ai fianchi, scorgo sul fondale quello che credevo fosse una medusa. Fazzoletti intimi bianchi, rovinati dal tempo e dall’acqua salata, fluttuavano rasenti la sabbia come fantasmi. Ho pensato subito: se ho fatto fatica io inizialmente a capire che quei fazzoletti non fossero delle meduse, come può una tartaruga marina?


Vado avanti, un po’ pensierosa. Mi immergo totalmente e inizio a nuotare verso gli scogli.


E’ buffo, questi enormi massi visti dall’alto sembrano spogli ed invece appena metto la testa sott’acqua vedo un mondo pieno di vita.
La mattinata
continua così, a nuotare tra gli scogli e a curiosare in ogni
anfratto, con l’accortezza di non toccare o infastidire niente e
nessuno degli abitanti del mondo marino.






Ogni mattina, per i 3 giorni consecutivi, avrei avuto il mio appuntamento speciale con gli abitanti degli scogli. Il pomeriggio lo dedicavo a leggere e a passeggiare, o ad assistere a qualche incontro che lo stabilimento organizzava insieme a biologi ed esperti del mare per affascinare ed istruire grandi e piccini.


Giorno 5
Decido che la mia
giornata sarebbe iniziata alle 6 di mattina. Volevo andar a vedere
il porto e i pescherecci che rientravano, le bancarelle del pesce e
il via vai di persone mattiniere.
Arrivo e mi trovo
però un ambiente silenzioso e spopolato. Pochi pescherecci, poche
persone che passeggiano. Mi avvicino ad una barca e vedo i
pescatori che, accorti della mia presenza mi guardano un po’
storti. Forse è raro vedere da quelle parti una ragazza che si
aggira con una macchina fotografica al collo con occhi curiosi ed
insistenti?


Mi avvicino al banco del pesce. Un tavolo piccolo, contenuto, con pochissimo pesce rispetto a quello che ero abituata a vedere da bambina.
“Eh signore, queste sogliole sono tutte
piccole” dice la signora dietro al banco. Effettivamente il pesce
era piccolo, giovane, non adulto sicuramente.
Non solo le sogliole non erano “mature”, ma
anche altri tipi di pesce e gamberi.
Mi ricordo dei discorsi sulla pesca, sul
fatto che spesso la pesca è altamente distruttiva perché si pesca
il pesce in quantità così abbondante che non gli si da il tempo di
riprodursi e di ritornare ad un numero consono al mantenimento
dell’ecosistema.
Quei pesci erano pochi e
piccoli.






Giorno 6
Sapevo che sarebbe arrivato.
Lo chiamo “il
rullo”.


Foto di repertorio/Redazione
E’ una nuvola grigia, in mezzo al cielo nero pronto a trasformarsi
in tempesta, che corre ad una velocità impressionante e ruota su se
stessa. E’ l’ariete di sfondamento dei violenti temporali in
Adriatico che arrivano dal versante ovest, con raffiche di vento
che arrivano anche a 40 nodi (circa 80km/h).
La prima volta che lo vidi, il rullo, fu 4 anni fa. Nell’aria c’era
il silenzio pregno di tensione elettrica, tipico di quando sta per
cambiare il vento.
Di pomeriggio nella località di Gabicce tira sempre un po’ di
vento, ma quel giorno di 4 anni fa, come poi sarà sempre in attesa
dell’arrivo del “rullo”, spirava da ovest.
All’improvviso apparve all’orizzonte, in mare, la motonave delle
gite locali. Ma questa volta non faceva pubblicità, lanciava un
avviso di allarme. Ci saremmo dovuti allontanare velocemente dalla
spiaggia perché da lì a pochissimi minuti sarebbero arrivate
raffiche di vento fino a 75km/h.

"Rullo" in formazione, foto di repertorio/Redazione
La gente intorno a me non si era resa ben conto di quanto veloce potesse correre il vento, ed ecco che in nemmeno due minuti, dai bagni alla nostra sinistra (ovest) iniziarono a levarsi le urla. Sabbia, lettini e sedie in un’unica folata di vento si spostarono in massa per atterrare chissà dove. La corsa è stata precipitosa, e la tempesta, seppur spettacolare nella sua essenza, fece qualche ferito.
Durò per tutta la notte, e la mattina fu come
se niente fosse successo.
Tornando al “Rullo” di quest’anno, già sapevo
come sarebbero andate le cose: cielo nero da ovest, aria elettrica,
vento nervoso.

Dopo aver preparato lo zaino per andarmene, mi affaccio verso riva per godermi lo spettacolo. Con me c’è il proprietario dello stabilimento che scatta fotografie a questa massa di nuvole nere in arrivo.
“C’è quella lì che non mi piace per niente” ,
dice.
Eccolo, puntuale come un orologio svizzero,
come tutti gli anni da 4 anni a questa parte.
Il rullo.


E così si aprirono le danze.
Giorno 7 –
ultimo
La calma è ritornata sulle spiagge di Gabicce. Il sole
riscalda la sabbia umida di pioggia e i bambini tornano a costruire
castelli.
Quella mattina mi sono svegliata presto per vedere cosa
avrebbe portato la tempesta sul bagnasciuga. Nel giro della
giornata la spiaggia ha accolto rami, piante marine, cubomeduse,
granchi sconfitti dalla mareggiata ed un grongo
spiaggiato.



Torno a salutare gli scogli e i loro abitanti. L’acqua è torbida, non è limpida come le altre volte. La sospensione mi impedisce di riprendere la vita negli anfratti rocciosi.
Mi spingo verso la fine degli scogli, cerco
il varco verso il mare aperto. Quando si arriva alla fine di una
catena di scogli e si guarda in basso capisci il dislivello che c’è
tra dove sono sempre stata in cui ho sempre toccato e il largo. Il
color turchese è ipnotico, il sole taglia l’acqua con i suoi raggi
che accarezzano i pesci che questa volta non nuotano accanto a me,
ma sotto di me.


Ormai non tocco più, sento l’acqua che ha una forza diversa, non riesco più a stare immobile. Mi giro, sono di fronte al varco. Davanti a me ora non ci sono scogli, ma una distesa infinita di acqua. La temperatura è scesa, la corrente fredda e il pensiero di cosa avrei potuto trovare andando oltre mi fanno venire i brividi.
Provo a spingermi oltre gli scogli, ma il mare era ancora nervoso e provato dalla mareggiata del giorno prima. Così ho deciso di rimanere nella “comfort zone” e non sfidare il mare, con la promessa di ritornare e finalmente valicare il passaggio.
Si dice che dall’altra parte degli scogli si trovi un mondo che mai penseresti potesse esistere su una semplice scogliera dell’Adriatico centro-settentrionale.

