E tu, stai dalla parte degli squali?

23 gennaio 2022 - Ambiente - Commento -

 Di Marta Bello

Una volontaria della campagna Stop Finning Eu ci racconta la pratica del finning e l'importanza sociale e politica di fermare questa pratica.

Com’è nata la campagna? Perché è stata avviata? 

È nata dalla volontà dei cittadini europei, inizio descrivendoti la parte politico-istituzionale perché è la parte fondamentale: la campagna è nata facendo appello a questo strumento della democrazia partecipativa che è l’iniziativa da cittadini europei, attivo dal 2012 che permette a di proporre modifiche legislative con la condizione di raccogliere un milione di firme all’interno dell’Unione Europea, normalmente questa raccolta deve avvenire nel corso di 1 anno.

In questo caso specifico, per lo Stop Finning è stata prolungata a 2 anni causa Covid. A cosa serve ciò? Serve a dare una forza ufficiale alla richiesta: con 1 milione di voti la proposta di legge deve necessariamente essere discussa in Commissione Europea, quindi non è solo una petizione ma ha un carattere ufficiale. La campagna per fermare il commercio delle pinne di squalo è nata nel 2019, è stato creato proprio un comitato per proporre la proposta di legge alla Commissione Europea perché è previsto che venga creato un comitato che contenga almeno 7 membri da 7 diversi paesi europei, il comitato iniziale ne conteneva 12, poi si è un po’ modificato nel corso del tempo.

Una volta che il comitato ha proposto questa modifica legislativa alla commissione europea, la raccolta voti è ufficialmente iniziata, parliamo di febbraio 2020 e terminerà 31 gennaio 2022.

La richiesta ufficiale riguarda una modifica legislativa: il “finning” è già vietato in UE dal 2003, quando è stata emanata una prima legge che lo ha vietato a bordo delle navi dell’Unione Europea, però non è mai stata efficace perché mancano i controlli in mare aperto. Si stima che della flotta spagnola, solo il 3% delle navi venga controllato, per cui questa prima regolamentazione risulta del tutto inefficace.

Nel 2013 è stato fatto un passo avanti, cioè è stato introdotto un nuovo regolamento accettato e valido nell’Unione Europea, Stati uniti, Canada, India e Sud Africa e non va più a colpire solamente la pratica del finning ma cerca di colpire ciò che viene dopo: vieta completamente lo stoccaggio, il trasbordo e lo sbarco delle sole pinne di squalo. Cosa significa? Che gli squali possono ancora essere pescati, ma il corpo deve essere conservato nella sua interezza finché non viene sbarcato in porto, a quel punto le pinne possono essere rimosse e commerciate.

Questa regolamentazione avrebbe dovuto arginare un po’ il problema frenando, limitando la pesca di squalo per il commercio delle sue sole pinne, cosa che però non è successa. Dopo il 2013 c’è stata una diminuzione degli squali pescati, sino a quando i numeri sono saliti di nuovo perché si è trovato il modo di commerciare anche la carne di squalo.

Ricordiamo che l’Italia è tra i primi al mondo per l’importazione della carne di squalo, quindi la proposta dell’iniziativa Stop Finning EU è di riprendere in mano il regolamento del 2013 ed estenderlo, per cui diventa illegale asportare le pinne allo squalo non solo fino a quando le carcasse dei poveri squali arrivano in porto, ma completamente: lo squalo deve rimanere intero dalla pesca e in tutte le sue fasi: importazione, esportazione e transito, a partire dall’UE e dovrà poi essere esteso a tutto il mondo.

Questo perché se consentiamo di commerciare solo gli squali interi e non le sole pinne, chiaramente i proventi diminuiscono tantissimo visto che si tratta di trasportar carcasse di centinaia di chili dove l’unica parte di valore sono le pinne. Questa è proprio la richiesta che noi facciamo.

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Mi spiegheresti in cosa consiste precisamente la pratica del Finning?

Come pratica il finning consiste nella cattura dello squalo e nella rimozione delle sue pinne in mare, quindi sui pescherecci le pinne vengono tagliate e il corpo dello squalo viene ributtato a mare. Può avvenire quando lo squalo è già morto, o in molti casi avviene quando lo squalo è ancora vivo.

Il motivo dietro questa pratica è (chiaramente, ndr) economico: la carne di squalo, oltre a non essere particolarmente buona, non è pregiata e quindi vale molto poco nel mercato ittico mentre le pinne di squalo hanno un valore molto molto elevato, non tanto per il consumo europeo, quanto per l’esportazione. Vengono utilizzate in Asia per la zuppa di pinne di squalo, che è un piatto di lusso, un po’ l’ equivalente del caviale. Inoltre, secondo la medicina tradizionale cinese le pinne di squalo hanno delle proprietà curative legate ad aspetti afrodisiaci e magici.

La pratica è effettuata un po’ in tutto il mondo da tutte le flotte internazionali, non solo dai cinesi e dai giapponesi, bensì lo fanno tutti perché si sa che le pinne di squalo vengono pagate tantissimo.

1 kg di pinne di squalo essiccate vengono pagate anche 700 dollari, delle cifre molto importanti!

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Quali sono le conseguenze negative per l’ecosistema marino?

Dobbiamo considerare le quantità: non si ha la percezione dei numeri di cui stiamo parlando, proprio IUCN (International Union for Conservation of Nature) ha fatto una stima qualche anno fa e ha detto che il numero di squali che viene catturato ogni anno si aggira tra i 100 e i 273 milioni, ma è difficile fare una stima perché chiaramente ciò che succede in mare è difficilmente controllabile. 

73 milioni di questi squali vengono pescati proprio per le loro pinne. Parliamo di quantità enormi che vanno ad impattare qualunque genere di popolazione marina e terrestre, inoltre gli squali sono particolarmente importanti nella piramide alimentare marina, ma sono anche molto vulnerabili: hanno un tasso di riproduzione molto basso e molto lento, nascono pochi piccoli alla volta e la maturità sessuale si ha in età molto avanzata, per cui spesso non riescono neanche a riprodursi. Tendono ad avere popolazioni non molto grandi proprio perché sono all’apice della catena alimentare; salendo nella piramide i membri di ogni popolazione diminuiscono, ecco che se andiamo a prelevare tutti gli squali, l’intero ecosistema ne risente gravemente. Gli squali sono i predatori apicali e vanno a regolare tutte le popolazioni di pesci che si trovano al di sotto, compongono quello che si definisce il sistema immunitario degli oceani perché vanno a predare, ad esempio, gli esemplari malati e quindi eliminano le debolezze del sistema rendendo più forte l’ecosistema marino.

Le popolazioni di squali sono già estremamente in difficoltà: dagli anni ’70 si è stimato che sono scese anche del 90%.

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Mi dicevi che l’Italia è il principale importatore di carne di squalo?

Noi importiamo tantissima carne di squalo, e ne mangiamo molta. Un po’ perché non sappiamo che si tratta di ciò, nel senso che palombo, smeriglia e verdesca sono tutte specie di squalo che si trovano e comprano con grande facilità in pescheria. In altri casi avvengono anche delle frodi alimentari: spesso viene venduto come pesce spada, che ha un valore molto più elevato.

In alcuni casi ci sono anche tracce di carne di squalo nelle scatolette di tonno, questo porta con sé un grande problema di tossicità alimentare perché essendo all’apice della catena alimentare, gli squali sono anche accumulatori di sostanze tossiche e metalli pesanti.

Per quanto riguarda l’esportazione, il più grande paese al mondo è proprio la Spagna. Ricordiamo che solo il 3% della frotta spagnola subisce controlli in mare aperto. Com’è stata percepita e recepita la campagna in Italia? Purtroppo, recepita poco. C’è stata poca diffusione, ci siamo messə in gioco facendo parte di questo comitato partito da Germania (ha avuto un ruolo importante all’interno della campagna), Austria, Francia, Spagna e Portogallo. In Italia è arrivata poco. La campagna è partita a metà del 2020, dopo il mio voto ufficiale (non è solo una petizione) pensavo di aver già fatto la mia parte.

In realtà, sei mesi dopo sono venuta a sapere che avevamo raccolto solo 3000 voti, allora ho iniziato a dirlo un po’ in giro. Ad Aprile 2021 eravamo ad 8000 voti, il quorum in Italia è di 55000 voti. Non è facile parlare di squali in Italia, non c’è grande sensibilità, quando qualcunə espone la problematica, generalmente tutte e tutti sono concordi sul fatto che vada fermata, ma non sanno neanche dell’esistenza del problema. “Ciao, vuoi firmare per fermare il commercio delle pinne di squalo?”

“Perché, abbiamo un problema di pinne di squalo?”, di solito va così.

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Capisco. Quali metodi di pesca vengono impiegati nella cattura degli squali?

La pesca direttamente sullo squalo non è così comune, normalmente pescano altre specie ma nelle reti entrano uno squalo e subito gli tagliano e rubano le pinne uccidendolo.

Lo squalo è per lo più il risultato di pesca accessoria. Un esempio si ha per la pesca al pesce spada con i palangari, si stima che il 30% del pescato sia pesce spada e il restante 70% siano solo squali.

Ci sono anche le reti fantasma, può capitare che rimangano proprio nelle reti e anche volendoli liberare, spesso sono già morti proprio perché gli squali hanno bisogno di muoversi per respirare, rimanendo bloccati in una rete muoiono abbastanza in fretta.

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Grazie Camilla. Aggiungo una riflessione che non può prescindere, dato il contesto. È chiaro che il problema delle pinne di squalo sia tale, un problema. E anche molto grave. Le gravi immagini della devastazione e morte causata dalla specie umana non possono lasciarci indifferenti, ma vorrei sottolineare che si tratta solo di una parte del problema. Un problema più grande ed ampio che quotidianamente trascuriamo: il nostro rapporto con le altre specie animali del pianeta.

Siamo ancora costretti a vedere certe immagini di morte perché il rapporto con le altre specie animali si regge ancora su una logica di dominio dove i rapporti di forza sono tutti e soli della specie umana.

Questa violenza è in atto semplicemente per rispondere ad una domanda di mercato, una domanda generata da una massa consumatrice abituata ad ottenere nell’immediato qualsiasi cibo desideri, senza mai chiedersi da dove provenga. In occidente spesso facciamo l’errore di credere che queste cose siano lontane da noi, e le spostiamo ad oriente, lontano dagli occhi e dai pensieri. Ma gli squali sono solo una delle tantissime specie animali, marine e terresti che quotidianamente vengono maltrattate e uccise (oppure sfruttante, in base all’industria di riferimento) per “bisogni alimentari” come maiali, polli, tacchini, mucche, tonni, salmoni…

“Bisogni” creati dalle industrie alimentari che nei decenni hanno investito denaro per infiltrarsi nella cultura comune e farci credere che abbiamo bisogno di mangiare gli animali per vivere. 

Questa è una battaglia comune, una battaglia importante per gli squali, ma una battaglia che dovremmo combattere per tutte le specie animali, perché quotidianamente in ogni parte del mondo, ad oriente così come ad occidente, in Europa, in Italia, migliaia e migliaia di animali vengono sfruttati ed uccisi, come parte di una catena industriale che si regge sui meccanismi del capitale.

La più grande forma di abuso di potere e di dominio è credere che la nostra specie sia migliore delle altre. Eppure queste foto dicono tutto il contrario, parlano una lingua diversa.

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