LO STATO DELL’ARTE DELLA PESCA ITALIANA

02 agosto 2022 - Ambiente - Commento -

Gianpaolo Buonfiglio / foto repertorio di Zygmunt Grabowiecki


Per parlare con cognizione di causa della pesca italiana è bene innanzitutto tracciare il quadro con qualche numero, da cui risulta chiaro come non siamo proprio all’anno zero nel faticoso processo che dovrebbe portare l’intero settore verso i criteri della piena sostenibilità. 

Nel 2021 il prodotto sbarcato dalla flotta italiana ammontava a circa 137.000 tonnellate, con un valore di 741 milioni di Euro. 

Dal 2010 ad oggi il valore totale degli sbarchi è diminuito del 15,7%, il volume delle produzioni sbarcate del 16,2% e il prezzo medio /Euro/Kg) del 9%. 

La flotta da pesca nazionale si è ridotta nell’ultimo decennio scendendo alle circa 11.870 imbarcazioni di oggi, pari al 16% della flotta UE (81.071 unità), con una contrazione complessiva pari al 16,5%. L’età media della nostra flotta è di 31 anni. 

La piccola pesca conta circa 8.400 battelli e rappresenta circa il 70% della flotta. 

E’ un settore fondamentale per l’economia locale, fortemente cooperativo, soprattutto dei piccoli borghi marinari, e delle acque interne, spesso ad alta vocazione turistica. 

La flotta operante con attrezzi da traino (strascico e rapidi) con 2.088 imbarcazioni è la seconda in termini di numerosità e la prima in termini dimensionali (in GT e Kw). Seguono le draghe idrauliche per la pesca dei molluschi con 709 unità, le circuizioni con 316 unità e le volanti con 87 unità per il pesce azzurro, i palangari con 214 unità e la flotta tonniera con 21 unità. 

I pescatori imbarcati sono poco meno di 24.000 di cui circa 19.000 a tempo pieno (circa 30.000 dieci anni fa, il 16% in meno), mentre quelli che operano a terra sono oltre 100.000, per un totale che si aggira attorno ai 125.000 lavoratori, escluso l’indotto. 

Le catture calano al ritmo del 2% annuo, così come i redditi; l’incidenza dei costi di produzione per alcuni tipi di pesca, come quella dello strascico, è normalmente nell’ordine del 70%, ed oggi sta salendo vertiginosamente fino ad azzerare la redditività per la crisi del caro gasolio, raddoppiato negli ultimi mesi, collegata al conflitto russo-ucraino e speculazioni connesse. 

Sono molti ormai i pescherecci fermi in banchina più del dovuto per contenere i costi di gestione. 

Nel corso dell’ultimo decennio i guadagni provenienti dagli sbarchi sono diminuiti di oltre il 30% . 

La pesca è da anni senza fondo di solidarietà per le calamità naturali, non è riconosciuta come lavoro usurante e non ha una cassa integrazione strutturale funzionante per i lavoratori. 

Da questi dati emerge chiaramente un quadro complessivo di un settore in forte contrazione, con tutti i principali descrittori in discesa, ed una serie di problemi complessi irrisolti, dal ricambio generazionale alla vetustà della flotta, dalla scarsa capacità di investimento delle imprese nell’innovazione e nella modernizzazione del sistema commerciale e produttivo, alle difficoltà di accesso al credito. 

A questi problemi strutturali si aggiungono quelli congiunturali dovute alle continue emergenze ambientali (mucillagini, morie molluschi per inquinamento, specie alloctone invasive, fioriture algali, esplosione popolazioni di meduse e ctenofori, cambiamenti climatici), e la già richiamata crisi del caro gasolio, seguita a ruota a quella della pandemia che ha provocato durante i lockdown la chiusura del circuito commerciale horeca ed una generale contrazione delle vendite.

Ciò detto bisogna poi distinguere come questa fosca situazione generale si traduca nei diversi sistemi di cattura che compongono il settore, ognuno con specifiche situazioni, dinamiche e problemi. 

Una disamina, questa, che richiederebbe troppo spazio per essere completata in un solo articolo. 

Colgo però l’occasione per tracciare i contorni di quello che è considerato da molti il grande satana della pesca italiana, accusato di devastare e desertificare i fondali: lo strascico. 

Rispetto alla produzione complessiva della pesca italiana questo segmento risulta dominante; le quantità sbarcate si attestano a 45.434 tonnellate, pari al 33,15% del totale. 

In termini di valore questa percentuale sale al 46% del fatturato dell’intera pesca italiana, con 337,53 milioni di Euro, in ragione dell’elevato pregio commerciale di alcune specie bersaglio (gambero rosso e scampi). 

Sono questi valori in crescita se paragonati al 2020, ma solo grazie alla ripresa delle vendite e quindi delle catture che nel biennio 2019-20 avevano subito una forte riduzione a causa della pandemia. 

Di fatto lo strascico rimane il principale fornitore dei nostri mercati ittici, ed il più consistente in termini di strutture ed occupazione. La Politica Comune della Pesca (PCP) individua obiettivi e strategie sulla base di pareri che il Comitato Scientifico Tecnico Economico della Pesca (CSTEP) formula attraverso la valutazione dello stato degli stock. 

Questa valutazione viene effettuata annualmente sui dati delle catture forniti dagli Stati membri UE, e per gli stock delle risorse demersali in Mediterraneo continua a mostrare una situazione di generale sovra sfruttamento. 

La mortalità da pesca risulta essere, seppure con qualche miglioramento negli ultimi anni, ancora al di sopra di quella considerata accettabile per una cattura sostenibile praticamente per tutti i segmenti di flotta del sistema strascico, e ciò nonostante più di un ventennio di misure tecniche e di gestione e la significativa contrazione della flotta già ricordata (a Mazara del Vallo la flotta si è ridotta da 500 a 80 pescherecci). 

Lo stato preoccupante delle risorse è alla base del Regolamento UE 2019/1022, che con l’obiettivo del MSY (massima cattura sostenibile) per tutti gli stock entro il 1/1/2025 ha stabilito, tra l’altro, la riduzione del 40% in 5 anni dell’attività dello strascico per tutto il Mediterraneo Occidentale (dal Tirreno allo Stretto di Gibilterra. Di questa riduzione - che si traduce in fermi aggiuntivi obbligatori suddivisi per classi di Lunghezza Fuori Tutto dei nostri pescherecci fino a raggiungere dei target di riduzione in termini di giorni annui - l’Italia ne ha già realizzata oltre il 20% (in alcuni casi il numero di giorni aggiuntivi è ormai superiore a quelli del fermo obbligatorio continuativo retribuito), con gravi ripercussioni sulla redditività delle imprese. 

Sono state inoltre adottate misure per lo strascico che lavora sugli stock di gamberi di profondità, con l’introduzione di un limite massimo catturabile per il gambero rosso e gambero viola. 

Lo stesso tasso di riduzione di attività annua del Mediterraneo occidentale, anzi maggiore per qualche segmento, è stato poi stabilito per le risorse demersali dell’Adriatico e dello Ionio attraverso raccomandazioni della CGPM della FAO (Commissione Generale della Pesca per il Mediterraneo), che sono vincolanti per tutti i Paesi aderenti, tra cui l’UE, Albania e il Montenegro. 

Si ricorda poi che per gli effetti del Regolamento 1967/2006 la pesca a strascico è vietata entro le 3 miglia nautiche dalla costa o batimetrica dei -50 m, oltre la batimetrica dei -1000 m, su habitat di coralligeni e letti di maerl, sulle praterie di Posidonia oceanica o altre fanerogame marine, e in tutte le Aree Marine Protette (solo l’area marina protetta delle Egadi ha una zona C in cui è consentito) e le zone Natura 2000. La riduzione dell’attività (giorni/anno) andrà avanti con ogni probabilità in Tirreno e Mar Ligure anche per il 2023 e 2024 fino a raggiungere il 40% stabilito dal regolamento comunitario (Adriatico e Ionio seguiranno a ruota), mentre nella nuova programmazione FEAMPA (Fondo Europeo Affari Marittimi Pesca e Acquacoltura) 2021-27 è già previsto nel Piano Operativo italiano un bando per l’arresto definitivo che demolirà ulteriore flotta a strascico. 

Da questo quadro risulta chiaro quanto il dito puntato contro lo strascico distruttore dei mari abbia sempre meno ragioni di essere, anche perché alla politica di riduzione dello sforzo di pesca per la tutela degli stock ittici sta per sommarsi, avanzando a grandi passi, la politica annunciata dal Commissario UE all’Ambiente, Oceani e Pesca Sinkevicius per la riduzione dell’impatto dello strascico sui fondali, la riduzione dell’impronta di Carbonio e per il risparmio energetico dei pescherecci, che comporterà l’alleggerimento delle reti a traino e l’aumento della selettività. 

Non siamo pertanto all’anno zero, anzi tanto è già stato fatto e si continua a fare per rendere la pesca a strascico, così importante per i nostri mercati, più sostenibile. 

C’è però da chiedersi come mai 20 anni di gestione abbia avuto così poca risposta in una ripresa degli stock a dir poco timida e lenta. 

C’è qualcosa che non va. 

Sicuramente dovrebbe essere intensificata la lotta ai tanti tipi di pesca illegale che continuano ad essere praticati, ma i dubbi che i problemi non siano solo quelli determinati dalla pesca ma anche da altre fonti di impatto sono sempre più forti. 

Cambiamenti climatici, riduzione dei nutrienti nei reflui, inquinamenti, microplastiche, ricerche petrolifere con air-gun, trivellazioni ed altro, forse anche in assenza di pesca potrebbero avere impatti tali sull’ambiente marino da non consentire una ripresa degli stock, mentre un approccio ecosistemico più largo potrebbe spiegare facilmente che aumentando la popolazione di predatori è difficile registrare l’aumento di biomassa complessiva degli stock pescabili. 

Ma combattere contro trivelle e inquinamenti sarebbe certamente molto più difficile e lungo rispetto a quanto occorra per imporre misure restrittive sulla pesca e la politica, si sa, vuole sempre risultati spendibili nel breve termine. 

Quindi avanti così, con una politica parziale dagli effetti minimi, con la quale però se i pescatori piangono il mare non ride.


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