Oggi incontriamo un nuovo amico: il tonno rosso

06 aprile 2022 - Ambiente - Commento -

Testo di Marta Bello e foto di Animal Equality

Scopriamo insieme le caratteristiche affascinanti di questi meravigliosi animali che popolano i nostri mari e che purtroppo finiscono ancora nei nostri piatti. 

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Quali sono le caratteristiche del tonno rosso? 

Questo meraviglioso animale definito l’oro rosso del Mediterraneo, in realtà è autoctono dell’Oceano Atlantico e il suo viaggio è ogni volta molto lungo per arrivare nel caldo Mediterraneo, bacino di meraviglie e biodiversità, nonostante la sua superficie sia inferiore all’1% di tutti gli oceani messi insieme. 

La migrazione del tonno rosso, noto come ‘pinna blu’, era conosciuta sin dall’antichità: nella Grotta del Genovese, che si trova sull’isola del Levanzo, è stata ritrovata la prima raffigurazione rupestre del tonno in Europa. Le persone addette al settore hanno datato l’opera a 4.000 anni fa. 

La migrazione del tonno rosso si svolge durante le lunghe notti invernali nei freddi mari dell’Oceano Atlantico settentrionale ed è lungo migliaia e migliaia di chilometri. 

Parliamo di uno dei più grandi pesci del mediterraneo. Questa specie pelagica, infatti, può raggiungere 3 metri di lunghezza e 700 kg di peso e intraprende questo lungo viaggio per raggiungere i mari caldi del Mediterraneo. Ha corpo massiccio e allungato con una colorazione blu acciaio sul dorso, a volte molto scura, quasi nera. Il ventre e i fianchi sono invece bianco-argentei, talvolta con macchie più chiare.

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Come si riproduce il tonno rosso? 

Dicevamo che il tonno rosso vive nell’Atlantico settentrionale, ma in primavera migra verso il Mediterraneo dove si riproduce, per tornare poi nell’oceano in autunno. 

Questa specie passa da una fase erratica, in piccoli gruppi, a una gregaria, che coincide con l’inizio della stagione riproduttiva, in cui migra verso le aree riproduttive. In questa fase i branchi tendono a passare negli stessi luoghi anno dopo anno e la conoscenza di queste rotte ha permesso la costruzione di impianti di pesca fissi dette ‘tonnare’. 

Nelle ore notturne le femmine salgono in superficie a deporre le uova. Ognuna lascia milioni di uova che vengono immediatamente fecondate. Ogni femmina matura rilascia 30 milioni di uova durante l’arco di un anno ma solo pochi sopravvivono. Le uova sono pelagiche, così come le larve, che nei primi stadi portano alcune lunghe spine sull’opercolo brachiale. 

 Come viene pescato il tonno rosso? 

In antichità venivano preparate le reti e i cavi d’acciaio a mano, pratica faticosa per cui servivano due mesi di lavoro per creare una tonnara, vengono poi calate e iniziava la cosiddetta “mattanza”.La tonnara è un sistema di pesca tradizionale ed è costituito essenzialmente in due complessi principali dei quali uno parte dalla riva e, spingendosi in mare per chilometri, intercetta la rotta migratoria dei tonni e ne cattura a migliaia, spingendoli nella seconda stanza di rete che viene definita “camera della morte”. Il complesso di reti viene calato in mare verso i primi giorni di maggio e resta fino al mese di giugno.

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Questa è una pratica molto antica, la pratica venne introdotta dagli arabi intorno all’anno 1000 e proseguita dagli spagnoli. Basti pensare che le tonnare più antiche in Italia risalgono all’occupazione spagnola del Cinquecento e si trovano in Sardegna, purtroppo sull’isola ci sono ancora due tonnare attive: Carloforte e Portoscuso. 

Ovviamente la Sicilia ha la più antica tradizione delle tonnare e le due rimaste attive sono, purtroppo Bonagia e Favignana. L’altra attiva in Italia si trova a Camogli. 

La mattanza, invece, deriva dallo spagnolo matanza che vuol dire uccisione, derivato di matar uccidere. E’ la fase finale della pesca del tonno, è una parte atroce perché estremamente cruenta e impressionante perché i tonni che sono stati raccolti nella tonnara arrivati nella camera della morte, che vengono infilzati con grossi arpioni e uccisi con mazzate violentissime. Animal Equality ha documentato queste barbarie a Carloforte

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Ad oggi meno del 20% del tonno pescato in Italia deriva dalle tonnare e i palangari, il sistema più utilizzato è quello delle reti a circuizione dette anche tonnare volanti. 

I tonni catturati vengono trasportati vivi in queste enormi reti per raggiungere quelli che sono chiamati “gli impianti di ingrasso”, dopodiché, vengono uccisi e fatti in pezzi. Siccome il tonno rosso è un pesce carnivoro che mangia gli altri pesci, in particolare sardine e altre specie simili (ma anche cefalopodi pelagici) significa che altri pesci vengono pescati per ingrassare questi tonni in questi impianti d’ingrasso. I tonni qui vengono ingozzati con TONNELLATE di pesce azzurro e calamari.

Questi numerosi passaggi industriali causano lo svuotamento dei mari. 

Gran parte del tonno pescato finisce sul mercato giapponese, viene ingrassato perché dal mercato asiatico il tonno è richiesto molto grasso. Tuttavia, non dobbiamo fingere che il problema sia altrove, anche in Italia, infatti, il tonno è in cima alla lista dei "prodotti" ittici più consumati.

L'analisi economica registra che in Italia, nel 2020 il tonno in scatola ha registrato un valore di mercato di oltre 1,40 miliardi di euro (+6% rispetto al 2019) con una produzione nazionale di oltre 80.300 tonnellate (+8,21%).


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Il consumo del tonno su scala mondiale ha portato al suo essere, ovviamente, a rischio estinzione.

La problematica etica delle sofferenze dei tonni è evidente, e va insieme al gravissimo impatto ambientale che questo comporta: così mettiamo a rischio le specie marine e interi habitat ed ecosistemi del mondo sommerso. Siamo una specie terrestre, e per questo crediamo di essere così potenti da poter fare al mare tutto ciò che vogliamo, perché secondo le antiche credenze ci sembra sconfinato, popolato da specie marine infinite, capaci di riprodursi all’infinito, ma non è così. 

La situazione dei mari è molto grave e la pesca è sempre più aggressiva e indiscriminata perché la domanda di pesce aumenta. Il tonno rosso è apprezzatissimo in Asia e specialmente in Giappone. La lobby della pesca è tanto potente da rendere negoziabili i limiti massimi di tonnellate pescabili indicate dagli scienziati al servizio degli organi legislatori di tutto il mondo e il risultato è che per legge si può pescare molto più di quanto sopportabile dall’ecosistema per garantire la sopravvivenza delle specie. 

Le quote di tonno rosso sono state introdotte nel 1996 perché la pesca era sfrenata e vi era la libera concorrenza tra pescherecci, oggi legalmente vietata in Italia e il rischio estinzione era altissimo. Infatti, può raggiungere cifre esorbitanti, per questo viene definito “L’oro rosso del Mediterraneo”: all’asta raggiunge cifre record. Lo scorso inverno al mercato di Tokyo, il più grande al mondo, un singolo esemplare di circa 3 quintali è stato pagato 2 milioni e 700mila euro: 9.600 euro al chilogrammo.

Per il 2020, la quota mondiale di pescato è stata fissata in 36mila tonnellate, la più alta dal 2006. E di questa quota, l'Europa ha poco più della metà: 19.460 tonnellate, divisa tra Spagna (6.107 tonnellate), Francia (6.026) e 'Italia (4.756).

Nel resto del Mediterraneo, la quota più significativa va al Marocco (3.234), seguito da Tunisia (2.655) e Libia (2.255). Nel resto del mondo solo due marinerie possono davvero pescare tonno con numeri importanti a ridosso anche delle nostre coste: quelle del Giappone (con quota fissata a 2.815 tonnellate) e della Turchia (2.305).

(Fonte: ICCAT) 

La situazione è gravissima. In Italia i controlli sono pochissimi e queste quote sono distribuite tra pochissimi pescherecci privati, che in quanto tali, inseguono interessi e profitti privati, e ai quali, dell’ambiente e della salvaguardia degli ambienti marini, non importa nulla. L’unica cosa importante è guadagnare, a discapito di tutto l’ambiente e tutti gli individui uccisi da questo sistema. 

I consumi di tonno rosso in Italia sono elevatissimi e sono anche aumentati durante i vari lockdawn dovuti alla pandemia. Un po’ per la “buona conservazione” di quello che viene definito “prodotto” dalle industrie ittiche, un po’ per quelle che sono le false e antiche credenze sul pregio degli oli contenuti nel pesce e dei suoi fantomatici “buoni effetti” per la nostra salute. 

Al solito, la disinformazione è la chiave delle speculazioni industriali che sfruttano le risorse marine per il solo profitto economico.


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Questo articolo può concludersi con una notizia agghiacciante che è indice della necessità di abbattimento di questo sistema distruttivo e micidiale. Stiamo parlando del “Progetto Mitsubishi”: la Mitsubishi è un’industria che non produce solo auto. Detiene bel il 40% del mercato mondiale della pesca di tonno rosso. Un’inchiesta pubblicata dal Fatto Quotidiano che ha ormai fatto il giro del globo suscitando enorme scalpore: questa industria da circa 10 anni sta accumulando milioni di tonnellate di tonno rosso surgelato in enormi refrigeratori in grandi palazzi industriali. 

In concomitanza, ha ampliato le sue flotte aumentando la capacità di pesca di tonno negli oceani, mostrando la chiarissima intenzione di portare all’estinzione commerciale il tonno rosso, in modo da poter detenere il monopolio totale del mercato grazie a queste immani riserve surgelate. 

Consigliamo al visione di: The end of the line e Seaspiracy

Questo è sconvolgente. 

Ci sembra molto normale mangiare questo pesce nelle scatolette che siamo abituati a vedere e “consumare” da quando siamo piccoli e piccole. 

Le industrie e la cultura di massa ne pubblicizzano i benefici (ovviamente tutte queste pubblicità sono finanziate dalle industrie stesse) a tal punto che siamo abituati a queste crudeltà e al suo sapore. Dopo queste informazioni, però, è molto difficile rimanere indifferenti senza voler accettare che il consumo di questo animale su larga scala, non è possibile. 

L’umana specie talvolta è poco propensa al cambiamento, soprattutto se abitudini, usi e costumi, sono fortemente radicati nella società, allora cerchiamo vie alternative, riduzione del consumo pro capite, altri pesci da poter mangiare. La verità è che non c’è nessuna specie che possa soddisfare il bisogno, anche esiguo, della popolazione umana globale che sta raggiungendo i 10 miliardi. Dovremmo fare un passo indietro e pensare che forse, il meraviglioso mare, gli oceani con le loro bellezze non sono per noi e non sono a nostra disposizione. Immergiamoci in essi, esploriamoli, ma non mangiamo chi li abita quando possiamo mangiare molte altre cose senza uccidere nessuno, senza devastare gli ecosistemi, marini e non solo. 

Prossimamente parleremo delle etichette ingannevoli sui pesci in vendita nei supermercati e nei discount, dei marchi fasulli sulla fantomatica “pesca sostenibile” che ovviamente non esiste (alla luce di dati scientifici evidenti, non i dati propinati dalle industrie) e che sono marchi, sigilli che vogliono de-responsabilizzare consumatori e consumatrici creati e pagati dalle industrie stesse. Un circuito che si regge su se stesso. 

Lasciamo in pace gli oceani e chi li abita, diventiamo spettatori e spettatrici silenziose, immergiamoci, osserviamo le meraviglie che nasconde il mondo sommerso senza crederci i suoi padroni perché non lo siamo.


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