PER DUE SPAGHETTI ALLE VONGOLE

08 settembre 2022 - Ambiente - Commento -

Gianpaolo Buonfiglio / foto Ufficio Stampa AGCI AGRITAL

Continuando il viaggio nei mestieri della pesca professionale, dopo lo strascico mi pare giusto affrontare un altro sistema di cattura su cui negli ultimi anni periodicamente qualcuno spara cannonate ed invoca il bando totale dai nostri mari, accusandolo di essere distruttivo per le biocenosi dei fondali. 

Parlo delle draghe idrauliche, anche dette turbosoffianti, utilizzate per la pesca dei molluschi bivalvi e soprattutto della vongola nostrana (Chamelea gallina). 

Si tratta di imbarcazioni che hanno a prua una grossa griglia (detta ferro), che viene posata sul fondo e trainata navigando a marcia indietro con l’elica. 

Il ferro penetra nel fondale per alcuni centimetri e dei getti di acqua a pressione consentono di rimuovere la sabbia dall’attrezzo e di catturare i molluschi bivalvi che, come è noto, sono specie fossorie che vivono nel substrato e non sopra di esso. 

Questi vengono selezionati per taglia già dallo stesso ferro, e poi a bordo mediante un vibrovaglio. 

Gli esemplari più piccoli rimangono sul fondo o vengono rigettati in mare dopo la selezione a bordo.


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La forte domanda di vongole da parte del mercato (non solo italiano) ha determinato lo sviluppo di una flotta consistente, tanto da aver già reso necessario negli anni l’intervento dello Stato per il ritiro definitivo delle imbarcazioni considerate eccedenti e contenere così lo sforzo di pesca. Il comparto è stato poi organizzato con il DM 44 del ’95, affidandone in via sperimentale la gestione a Consorzi di Gestione Molluschi (o Consorzi di Gestione Vongole: Cogemo o Cogevo) costituiti su base compartimentale, disciplinati dal DM 515 del ‘98 (modificato nel 2000). Questi Consorzi, promossi dalle Associazioni Nazionali cooperative ed armatoriali, rappresentano oggi la punta avanzata del sistema di gestione della pesca italiana, con forme di autogestione che vedono praticare la rotazione delle aree di semina, di pesca, i quantitativi giornalieri massimi per barca, i periodi di fermo ed altro ancora. Tra gli obblighi dei Consorzi rientrano il monitoraggio delle attività da parte di un Istituto scientifico e la trasmissione di rapporti annuali alla Direzione Generale della Pesca e l’Acquacoltura del MIPAAF, che interloquisce periodicamente con i Consorzi al “Tavolo molluschi”. La DG Pesca ha l’obbligo di trasmettere i dati a Bruxelles nel quadro del “Piano Nazionale Raccolta Dati Alieutici” previsto dalla PCP (Politica Comune della Pesca) e realizzato grazie al sostegno del FEAMP (Fondo Europeo Affari Marittimi e Pesca) con la regia della DG Mare della Commissione europea. Una attività di ricerca applicata e di monitoraggio che va avanti da decenni, sui cui risultati è stato basato il “Piano di gestione nazionale per le attività di pesca con il sistema draghe idrauliche e rastrelli da natante” [ex art. 2, par. 1, lett. b) del Regolamento (CE) n. 1967/2006] ed il “Piano nazionale di gestione dei rigetti degli stock della vongola” [ex artt. 15 e 18 del Regolamento (UE) n. 1380/2013], presentati alla CE dalla Direzione generale della pesca del MIPAAF ed approvati entrambi nel 2019[1]. La sostenibilità di questa attività produttiva è stata anche recentemente certificata dalla MSC (Marine Stewardship Council) alla Organizzazione di Produttori “BivalviaVeneto”, attraverso l’applicazione di rigidi protocolli di ammissione e verifica periodica.

Oggi il segmento delle draghe idrauliche consiste di 709 unità, che equivalgono numericamente al 5,97% della flotta nazionale, ma con 21.112 t di prodotto sbarcato nel 2021 rappresentano il 15,40% in volume delle catture nazionali, anche se il basso prezzo medio spuntato dalla vongola sui mercati porta al 67,17 milioni di Euro i ricavi, che costituiscono il 9,06% del dato nazionale.


Photopress  Mondo sommerso - img-20220429-071517.jpg[1]Sulla base della valutazione dello CSTEP e della Commissione, quest'ultima ritiene che il piano in materia di rigetti per le vongole (Venus spp.) sia in linea con gli obiettivi di sfruttamento sostenibile dello stock in questione nelle acque territoriali italiane.” – così scriveva la Commissione europea nel dossier relativo al Regolamento con il quale sono state approvate le misure di governance per la pesca dei molluschi bivalvi con draga idraulica [cfr. COM(2019) 6197 final, paragrafo 2, ultimo capoverso, pag. 5].

Da questi numeri credo sia chiaro che stiamo parlando di un comparto comunque significativo della pesca italiana, molto strutturato, che oltre a soddisfare la consistente domanda nazionale esporta regolarmente consistenti partite di prodotto (soprattutto in Spagna), contribuendo in positivo ad una bilancia dei pagamenti che nel settore ittico è decisamente negativa. 

Da qui la forte perplessità e stupore nel veder invocare il bando di questo sistema di cattura per eccessivo impatto sui fondali, ed avanzare la proposta di limitare la produzione nazionale a quella dei rastrelli a mano (sic!), cosa che porterebbe probabilmente il piatto di spaghetti con le vongole su fasce di prezzo superiori a quella del caviale. 

Le draghe idrauliche, come qualsiasi altro attrezzo di pesca ad oggi consentito dalla normativa italiana ed europea, hanno sicuramente un impatto sull’ambiente marino ed in particolare sui fondali. 

Non si tratta di negare questo. 

Si tratta, per tutti i sistemi di cattura e quindi anche per le draghe, di stabilire se questo impatto è sostenibile, ed entro quali limiti. Il concetto di sostenibilità (ambientale, ma anche sociale ed economica) di una attività di cattura in mare, dallo strascico alla circuizione, dalle reti da posta ai palangari, non implica che l’ambiente e gli stock interessati (che siano bersaglio o catture accessorie) ne debbano essere intoccati e non subire nessun impatto; per ottenere questo non dovrebbe esistere la pesca. 

La sostenibilità implica che venga assicurata la rinnovabilità delle risorse ittiche pescate e che l’ambiente marino in generale non subisca danni irreversibili, ma superabili grazie alla resilienza di tutti gli organismi coinvolti, oltre che dell’ambiente chimico e fisico in cui questi vivono.

Trattandosi di una attività esercitata da un attrezzo di cattura consentito da decenni, e che lavora con una certa intensità soprattutto in Adriatico, è difficile a mio avviso affermare che la pesca delle vongole con le draghe idrauliche abbia effetti devastanti sui fondali al punto di minacciare la sopravvivenza delle biocenosi bentoniche. 

Se così fosse diverse specie si sarebbero già estinte o drasticamente ridotte, ed i fondali interessati desertificati, cosa che non risulta. 

Nessuno studio del CNR o di altri Istituti ha mai sostenuto l’impatto zero, ma molti studi, anche del CNR oltre che di varie Università, hanno sostenuto che la pesca delle draghe idrauliche è sostenibile per gli stock bersaglio e per l’ambiente che da decenni subisce l’impatto di questo attrezzo senza esserne compromesso. 

Se poi qualcuna di queste draghe non rispetta il limite di 0,3 miglia dalla costa fa pesca illegale che va contrastata e colpita come qualsiasi altra forma di pesca illegale effettuata con qualsiasi altro attrezzo di cattura, ma non è per l’esistenza di infrazioni che si può abolire una attività produttiva o un attrezzo. 

Nessuno pensa di abolire le automobili perché qualcuno passa gli incroci con il semaforo rosso. 

Per quanto poi attiene al discorso della taglia minima di conservazione della vongola (definita a suo tempo a 25 mm arbitrariamente per un animale che si riproduce già a poco più di 10 mm) che l’Italia ha chiesto ed ottenuto di ridurre a 22 mm da cinque anni, questa non è dovuta al sovra sfruttamento che sta rendendo la taglia sempre più piccola ma al contrario all’aumento di densità della popolazione per unità di superficie che ha un effetto diretto sulla composizione delle fasce di taglia dello stock. 

Negli ultimi anni il comparto, grazie proprio all’abbassamento della taglia minima, ha abbassato lo sforzo di pesca di un terzo e sta compiendo ulteriori passi per razionalizzare e regolare sempre meglio prelievo e mercato. 

Il problema della gestione della pesca è in generale materia complessa, e le vongole non fanno eccezione. 

La flotta è specializzata, fermare questo mestiere significherebbe demolirla, ma parlare di un piano di riconversione nella congiuntura attuale non è realistico. 

Per le draghe idrauliche, come per lo strascico, molto è stato fatto e si continua a fare. 

L’importante è progredire nella giusta direzione - fra Politica Comune della pesca e politica nazionale - con aggiustamenti progressivi, valutando gli impatti delle misure, le risposte degli stock, l’andamento economico e produttivo di un comparto che vede in gioco investimenti consistenti, occupazione, mercato fiorente, e che è oggetto di attenzione da parte delle Istituzioni preposte. 

Di elefanti che entrano improvvisamente nei negozi di cristalli seminando allarme sulla scoperta dell’acqua calda, di cui secondo loro nessuno capisce nulla, non credo ce ne sia bisogno. Anzi rischiano solo di fare danni.


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