Quanto sfruttiamo i nostri mari?

25 novembre 2021 - Ambiente - Commento -

Testo di Marta Bello / Foto  di AnimalEquality


Io sono Marta, e sono molto interessata alle vostre azioni, mi descrivereste un po’ chi siete, come è nato Animal Equality e quali sono le idee che ci sono alla base? 

Animal Equality è nato in Spagna nel 2006 come Igualdad Animal, con lo scopo di portare avanti azioni concrete e di sensibilizzazione pubblica sulle condizioni degli animali allevati a scopo alimentare, sfruttati per le pellicce e in tanti altri ambiti della vita umana. Negli anni seguenti ci siamo specializzati proprio negli animali sfruttati dall’industria che produce carne e derivati, quelli numericamente più sfruttati in assoluto, proprio perché vogliamo essere più impattanti ed efficaci possibili. La nostra idea è che nessun animale debba essere sfruttato, gli animali sono esseri senzienti - come sancito anche dal Trattato europeo di Lisbona - e per questo non possiamo accettare lo sfruttamento dilagante a cui assistiamo. Lavoriamo per ridurre le sofferenze degli animali attualmente sfruttati e per ridurre il più possibile i consumi di carne e derivati, promuovendo un’alimentazione a base vegetale per arrivare un giorno al momento in cui non ci saranno più animali costretti in macelli e allevamenti ma anzi, quei luoghi saranno solo vuoti.

Sto facendo un’inchiesta sui danni ambientali del consumo di pesce, cercando di delineare un’analisi empirica ma anche culturale e sociale. In base ai vostri studi, mi raccontereste il collegamento tra la crisi climatica e il consumo di carne e di pesce? 

L’abbiamo potuto documentare soprattutto in India, dove lo sfruttamento delle risorse è palese. Gli allevamenti intensivi di pesci rubano acqua e terreni alla popolazione locale, creando sempre più siccità in zone già ampiamente colpite dal cambiamento climatico. A questo si aggiunge anche quello che abbiamo documentato in Vietnam grazie al nostro lavoro di inchiesta: inquinamento delle acque. Ma il problema non riguarda solo l’Asia. 


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Il problema non riguarda solo l'Asia, anzi. In Europa abbiamo pubblicato un’inchiesta realizzata da CIWF in Scozia e divulgata attraverso un network di organizzazioni, che mostrava chiaramente l’impatto devastante sull’ambiente degli allevamenti intensivi di pesce. 

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Uno degli alimenti ittici più consumato è il tonno. Ho visto che voi avete giustamente indagato ciò che accade nel processo che porta il tonno dal mare al piatto. Le scatolette di tonno sono quelle che passano più inosservate, sono così banali nella loro semplicità e così commerciali che rendono facile dimenticare tutto ciò che vi sta dietro. Noi siamo qui proprio per questo, per non lasciare che la sofferenza dei pesci sia dimenticata. Indubbiamente i pesci sono “gli ultimi tra gli ultimi”, perché anche lo specismo crea gerarchizzazioni e i pesci sembrano non essere proprio inclusi nell’atteggiamento empatico. In che modo la pesca intensiva del tonno è nociva per gli oceani? Quali sono gli epicentri della pesca del tonno?


Sicuramente è nociva per i tonni in primis, ma anche per tutti quei problemi che si porta dietro la pesca intensiva, come la pesca accessoria, a volte anche di specie protette, che non dovrebbero finire nelle reti e che invece rimangono imprigionate. Spesso muoiono animali, come anche le tartarughe marine, che vengono poi brutalmente ferite o rigettate in mare con scarse possibilità di sopravvivenza. Inoltre, l’impatto ambientale della pesca è anch’esso molto forte, in particolare per quelle pratiche illegali ma ancora molto diffuse come la pesca di frodo, la pesca di cuccioli e la pesca a strascico.



Mi parlate un po’ delle vostre inchieste al riguardo?


L’inchiesta che abbiamo realizzato nel 2012 è sulla mattanza dei tonni, una pratica che si tiene soprattutto a Carloforte in Sardegna e che dimostra l’uccisione crudele di questi animali, solo per “tradizione”. Volevamo mettere a fuoco questo aspetto, documentare la violenza di questa pratica e le conseguenze che ha sugli animali, mostrando la loro sofferenza dimenticata.


Secondo voi, perché la questione alimentare non viene ancora riconosciuta come la principale causa del cambiamento climatico all’interno dell’opinione pubblica?


Beh, ci sono diverse cause che concorrono al cambiamento climatico, la questione alimentare è molto complessa in quanto è un mix di tradizioni, abitudini, si intreccia con lo sviluppo e con la cultura dell’umanità purtroppo, quindi non è come accendere o spegnere un interruttore, ci vuole molta pazienza, molta ricerca, molta forza. Ma siamo sicuri che, volenti o nolenti, ci accorgeremo presto di quanto anche la nostra alimentazione abbia un impatto sul nostro Pianeta. Per fortuna diverse aziende stanno prendendo coscienza e sempre più persone nel mondo occidentale sono sensibili al problema. Purtroppo non è ancora abbastanza ma non bisogna arrendersi, bisogna continuare a lavorare incessantemente per questo cambiamento.



“Stiamo mangiando il pianeta, un boccone alla volta”, avete scritto. La sofferenza senza voce e il disastro climatico che finisce nei nostri piatti passa inosservato. Ma non sempre, quali sono i dati delle persone che hanno scelto una dieta vegetariana o vegana?


In Italia oscillano in totale intorno all’8-10% (secondo gli ultimi dati) ma la maggior parte si dichiara vegetariano. Aumenta però la fascia dei “reducetarian”, ovvero coloro che dichiarano di ridurre drasticamente il consumo di carne. E in effetti per quanto riguarda le carni bovine e il consumo di latte i numeri ci dicono che sono in calo, così come sono in calo anche il consumo di ovini, caprini e conigli. Per non parlare dei cavalli. Purtroppo invece i salumi, la carne di pollo e il pesce continuano ad essere ampiamente consumati, anzi, gli ultimi due soprattutto sono in crescita insieme al consumo di uova in quanto hanno subito una crescita durante la pandemia.




Ho letto che avete scoperto che l’unione Europea spende milioni di euro nella pubblicità di prodotti animali, me ne parlate meglio? Cosa ne pensate?


Non si tratta di una scoperta nostra, è tutto pubblico e ogni anno alcuni fondi vengono dati a queste pubblicità. Noi abbiamo raccontato quello che altre associazioni, tra cui anche Eurogroup for Animals di cui siamo membri attivi, hanno chiesto e cioè di smettere di finanziare pubblicità che favoriscono il consumo di carne e derivati. Sappiamo che hanno un impatto ambientale e sulla salute devastante oltre che causa di grandi sofferenze animali; quindi, sicuramente quei fondi potrebbero essere destinati a una comunicazione migliore. È importante però aggiungere che per l’industria e per molti politici questo settore è solo un settore economico come tanti altri; quindi, innescare un cambiamento richiede molta pazienza e visione strategica, altrimenti le nostre istanze non verranno mai ascoltate adeguatamente.




Da cosa rimanete più colpite/i quando vi recate a fare inchieste sul campo? Come vi sentite?


Dall’orrore degli allevamenti intensivi e dei macelli. Sono luoghi orribili, pieni di sofferenza, sporchi, puzzolenti. Sono luoghi che le persone tollerano solo perché non li conoscono, non li vedono, non sentono sulla loro pelle l’odore e la disperazione degli animali confinati tra le loro mura. Io non scorderò mai gli sguardi pieni di pena dei maiali, animali così puliti, complessi e intelligenti, costretti a vivere con le feci nelle mangiatoie, ammassati con compagni sconosciuti e le scrofe ingabbiate senza poter avere alcun contatto con i propri cuccioli. La maternità negli allevamenti è negata, distrutta. Come si può considerare tutto questo normale? Ciò che fa soffrire è sapere che tutto quello che accade rimane nascosto agli occhi delle persone, non si vuole far sapere il prezzo che viene pagato dagli animali (e anche dai lavoratori, spesso sfruttati e pagati magari in nero o sottopagati) per produrre quello che viene messo sui banchi dei supermercati senza più alcuna forma e senza connessione con la vita che era prima. Per questo non smetteremo mai di fare il nostro lavoro, documentare e indagare. Le persone devono sapere la verità e l’etica che dovrebbe guidare la vita umana ci impone delle riflessioni, non possiamo più perpetuare questo sistema ingiusto e immorale.


Di seguito, un altro reportage fotografico dagli USA.


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